Qual’è l’insegnamento.

La fonte di tutto.

La vita insegna ogni giorno, ogni ora, ogni secondo qualcosa, ma cosa insegna?

Se qualcuno ci fa una fregatura, crediamo di aver imparato come si prende o si dà quella fregatura, ma l’insegnamento non è quello, basta rendersi conto che molto spesso in un contesto finiamo per imparare solo come evitare fregature che però puntualmente si rinnovano ed evolvono ogni volta in modi diversi.
La fregatura è solo il teatrino che abbiamo messo in piedi in modo assolutamente inconsapevole, sia noi che il furbetto di turno per inscenare qualcosa di molto più profondo, che non vediamo mai.

Il fatto di non riuscire a vedere in profondità, SOTTO la sceneggiatura dei personaggi che abbiamo interpretato e interpellato, porta i “REGISTI” a dover rimettere insieme una nuova sceneggiatura, ripetere la scena, richiamando lo stesso personaggio o qualcuno nuovo e più “bravo” del precedente (cioè più rompiscatole dei precedenti) per ripetere, ripetere e ripetere le stesse cose di sempre.

Per questo si ripete la vita sempre uguale.

Per questo ci sono “temi personali” che si ripetono continuamente

Per questo c’è chi incontra sempre gli approfittatori, chi invece sempre i violenti, chi ancora, sempre i fessi, chi sempre i cattivi, chi sempre lo stesso tipo di personaggio inconsapevolmente preferito, che puntualmente va a focalizzare buona parte della sua vita. Per questo “sembra(?)” che te le vai proprio a cercare.

Ma cosa ci insegna la vita?
Anzi, cosa vorrebbe insegnarci che noi non vediamo, non sentiamo, non “cogliamo”?

 

All’interno di una sceneggiatura della vita si svolgono contemporaneamente più scene.
C’è la scena materiale, quella nella quale ci troviamo, quella che vediamo accadere, i fatti di cui poi si parla, le azioni materiali che abbiamo fatto e subìto.
Ma contemporaneamente c’è una scena dove le personalità nascoste degli interpreti stanno cercando di manifestarsi, come per esempio l’arroganza, l’ego, la paura, il vittimismo, la sudditanza, il conformismo e mille altri aspetti simili che ognuno di noi ha in sé stesso e che usa inconsapevolmente di volta in volta per dare energia al proprio personaggio nella scena che si sta svolgendo.

Se ci fai caso, c’è proprio in noi una “cosa indefinita e indefinibile” che si impegna a dare energia alla sceneggiatura che si sta svolgendo, anche quando un’altra parte di noi capisce che sarebbe il caso di fermarsi prima di fare danno.
Ma anche questo non è che una parte di tutto quello che accade all’interno di una qualunque scena di vita quotidiana.
Perché se si riuscisse a vedere ancora più in profondità, si arriverebbe a vedere nel proprio corpo, quale parte del corpo sta fornendo o assorbendo energia da questa scena, si, perché ogni aspetto profondo, ogni emotività che produciamo, ha bisogno di energia che prende da qualche parte nel corpo.
Per esempio, la rabbia viene presa solitamente dal fegato
Il non sentirsi all’altezza di una situazione, solitamente prende energia dai reni!
La mancanza di amore… indovina un po’?

Ogni emotività profonda prende da, o scarica energia in qualche parte del corpo, senza sconti, sempre, provocando prima o poi sofferenza in quell’organo e anche le malattie.

Ma anche quando siamo riusciti a vedere nel nostro corpo, dove reagisce, dove scarica o accumula pressione ed energia il nostro tema preferito, che fa emergere il nostro personaggio (inconsapevolmente) preferito, non abbiamo ancora visto tutto.

 

Ci sono ancora almeno altri due livelli di profondità dei quali dovremmo diventare consapevoli, il nostro bambino interiore e la nostra anima, che son i veri artefici, i veri registi di tutto questo teatrino che chiamiamo vita.

 

Con loro non possiamo comunicare alla pari, nel senso che non possiamo comunicarci dal livello della mente, non possiamo dirgli nulla che possa cambiare i loro piani o il loro progetto per noi.
O, perlomeno, non possiamo farlo comunicando in modo “normale”.

 

In realtà, un dialogo aperto con la nostra anima e il nostro inconscio si può creare, ma non con le richieste dirette, non in modo mentale.

 

Un modo per arrivare al dialogo, c’è, ma non è facile spiegarlo perché per ognuno è qualcosa di diverso, ognuno lo farà in modo diverso.

Un modo per arrivarci è la presa di coscienza del fatto che tutto quello che ci accade è un teatrino attraverso il quale loro ci stanno dicendo qualcosa, che non abbiamo capito.

Tutti gli eventi della vita sono sostanzialmente sceneggiature che abbiamo creato oppure che abbiamo permesso che venissero create, o che abbiamo partecipato a creare, anche se sempre inconsapevolmente.

 

Tutto ciò che è accaduto, che sta accadendo e che accadrà, gli è necessario per tenere in tensione quella parte del nostro corpo che sta fornendo o assorbendo quella specifica energia che tiene viva la sceneggiatura e i personaggi che stiamo interpretando e che stiamo tenendo ingaggiati per tenere “viva” questa scena.

 

Questa parte del corpo è evidentemente la stessa che abbiamo messo in tensione inconsapevolmente in qualche momento della nostra infanzia, in qualche situazione in cui non abbiamo capito qualcosa che stava succedendo davanti a noi o proprio a noi stessi.

È una domanda rimasta sospesa in quel momento, è una domanda che si è cristallizzata nel corpo in quel momento, esattamente come il bambino che eravamo in quel momento ha vissuto e a suo modo, compreso o interpretato quella situazione.

 

Molto spesso sono cose che, viste dall’adulto che siamo oggi sembrano davvero banalità, altre volte possono essere stati eventi realmente brutti o che comunque al bambino che eravamo, dal suo punto di vista infantile sono sembrati tali.
Di fatto rimane che quelle tensioni sono rimaste cristallizzate insieme al ricordo e noi, attraverso un certo tipo di AutoOsservazione, dobbiamo vederle, sentirle, “integrarle”, viverle con consapevolezza.

 

Rifiutare l’evento che sta accadendo ora nel teatrino del momento, rifiutarsi di sentire pienamente ciò che ci sta succedendo dentro adesso, cercare distrazioni o colpevoli esterni (sempre nel teatrino della vita materiale) per ciò che sta accadendo, prendere la pillolina magica che ci deve risolvere il problema togliendo la tensione fisica e le sue “conseguenze” (e dolori), cercare un rimedio qualunque che ci eviti di sentire il peso di ciò che sta succedendo, evitare in qualunque modo di sentire IN NOI, nel punto dove tutto questo si sta originando, equivale solo al rifiutarsi di vedersi dentro, nel punto di origine di tutto.

Il nostro inconscio interpreta questo come un rifiuto a trovare un contatto con lui, un rifiuto a sentirlo, accarezzarlo, stargli vicino. Cosa che potremmo fare se solo ci fermassimo ad ascoltare, sentire in silenzio, onestamente, senza scuse né sconti quella parte di noi attraverso la quale si sta manifestando, nel nostro punto dolente, dove sentiamo la sofferenza di questo momento.

Un bambino (interiore) rifiutato inizierà a sbraitare, a sbattere i piedi “dentro noi stessi” e lo farà come sa fare, creando tensione in quelle parti dove ha sentito dolore in quel momento d’infanzia, alimentando energeticamente quella parte del corpo come, giusto per fare un esempio, il fegato, che a sua volta predispone alla rabbia, che a sua volta predispone a focalizzare la nostra attenzione nella ricerca di personaggi che possano fare qualcosa per meritarsi la nostra rabbia, togliendo dalla scena (eliminandoli dalla nostra attenzione) tutti gli altri che seppur presenti non saranno utili alla sceneggiatura rabbiosa che vogliamo inconsapevolmente mettere in piedi, trovando e mettendo insieme tante cose utili a dare sfogo a questa rabbia che non abbiamo visto in noi stessi, prima ancora che diventasse tale.

Dopo aver inconsapevolmente creato la scena ed esserci predisposti anche energeticamente, psicologicamente ed emotivamente, basta una qualunque scintilla da o verso un qualunque personaggio presente che la scena prende vita.

Ma ne abbiamo visto la fonte?