Il bisogno di approvazione

Bisogno di approvazione.

Ci hanno “insegnato a imparare” le cose, per poter “dimostrare” quanto siamo bravi, per avere un voto (il parere dell’insegnante) più alto, non per capire il “senso delle cose”.
In tutto questo abbiamo sviluppato solo il bisogno di approvazione invece di sviluppare la capacità di “capire”, siamo diventati schiavi pur senza catene.
Il nostro bisogno di approvazione ci ha legati agli altri e alla società con catene psichiche peggiori di quelle di ferro degli schiavi.

Così siamo diventati tutti bisognosi di approvazione, di consenso, bisognosi di consegnare il valore nostro e delle nostre idee nelle mani di un maestro, di un professore, di papà, della mamma, della moglie, del marito, del capufficio, del direttore generale supermegagalattico o anche di un libro citando continuamente i “grandi del passato” in perfetto stile Fantozziano, di cui ridiamo ancora ma senza renderci conto che nella nostra realtà quotidiana siamo ormai messi decisamente peggio.

Siamo stati istruiti a valutare le nostre idee, i nostri pensieri, le nostre aspettative in base al consenso altrui.

È diventata proprio una impostazione profonda al punto che, chi prova a proporre qualcosa che non è nei canoni entro i quali è “normale” essere approvato, rischia di sembrare folle, perfino quando la nuova proposta serve a smontare una consuetudine evidentemente già folle.

Il bisogno di approvazione ci fa perfino credere di stare bene, anche quando è davvero evidente che questo… “così fan tutti”, ci fa stare proprio male.

Buona giornata e come sempre, buona AutoOsservazione. 🙏

3 thoughts on “Il bisogno di approvazione

  1. Salve lei mi sembra una persona molto saggia, non so, forse potrà darmi un commento illuminante, o non saprà cosa dirmi, ma ci provo. Le sue osservazioni anche riguardo al bambino interiore mi sembrano intelligenti ma non riesco a venirne a capo. Non le elencherò tutti i problemi di una vita difficile, non sarebbe giusto, solamente il fatto che il dèja vu nella mia vita è costante per un fatto in particolare che si ripete dall’infanzia ed adesso nel mio purtroppo lavoro, che è l’insegnamento: il fatto che sembro avere il miele per attirare il desiderio di emarginare e bullizzare delle persone. In tanti anni di psicoterapia l’unica cosa su cui siamo venuti a capo è che io vengo percepita come “diversa”, anche se si tratta di una diversità positiva, dicono loro, nel senso di intelligenza anticonformista ed altre cose e che il mondo della scuola non fa per me. Fatti oggettivi che darebbero adito al victim blaming (tipo essere brutti o avere difetti fisici, o non essere non brava nella mia materia, purtroppo è invece il contrario, perché almeno diversamente avrei una spiegazione), non ce ne sono mai stati. E io non sono mai stata separata dal mio bambino interiore, dalla sua incredulità e stupore di tutte quelle volte che “no, a te non la do”, “no, tu non giochi con noi”, via via fino all’adolescenza ed oltre. Io non so cosa spiegargli al mio bambino interiore, non so proprio cosa dirgli tranne il fatto che essere una bambina non amata dai genitori mette un marchio addosso a certe persone, che gli altri annusano come fanno i predatori. E allo stesso modo di un tempo, anche quando penso di avere superato il bisogno di superare quell’esperienza e che quest’anno sarà diverso- o comprendere, ma cosa c’è da comprendere? – ecco che arrivano macro e microsegnali da parte degli altri, che per gli adolescenti potrebbe essere il comportarsi male dal nulla (nonostante il mio essere più che appassionata nella mia materia, non essere un cerbero, anzi, cercare da parte anche un coinvolgimento emotivo) o cercare che so, di mettermi in ridicolo, di provocarmi, di ignorarmi, di rimarcarmi sadicamente che “succede solo nella sua ora”. Con i colleghi almeno la cosa è più comprensibile, e in quello, almeno mi pare, ho fatto dei progressi. Ho fatto Transurfing tutto l’anno passato, faccio bene o male meditazione mindful, ma questo marchio, questa maledizione non sembra volersene andare. Inoltre io non riesco ad inquadrare un vero, primo ricordo, ma, in famiglia, una serie di atmosfere. E non ho mai perso di vista questi ricordi, ma la rabbia, il dolore, l’amarezza, l’incredulita’, il senso di ingiustizia sembrano destinati a rifarsi vivi. E io mi ribellò, non voglio, ma eccomi qua.
    Spero solo in un miracolo – un vero miracolo alla mia età – in cui faccio un altro lavoro, in cui posso dispiegare le mie doti, senza dovere sempre soffrire per il conformismo e la meschinità del prossimo.

    • Ciao Elvira, scusami per l’attesa.
      Hai mai pensato che non c’è nulla da capire?

      Mi spiego meglio.
      Tutto ciò che ci accade è sostanzialmente un teatrino in cui il nostro inconscio mette in scena qualcosa.
      Il nostro inconscio è definito anche bambino interiore perché per la stragrande maggioranza delle sue manifestazioni può essere ricondotto a qualcosa accaduta nell’infanzia.

      Ora, quando parliamo dell’infanzia, potremmo arrivare anche a quel periodo in cui ancora non avevamo visto la luce, nella pancia di mamma.

      Se ti riaffiora qualcosa di quel periodo, tu come lo “interpreti”.

      Lì tu hai “somatizzare” l’emotività che ha vissuto tua madre, non la tua emotività!

      Se hai fatto minfulnes, se te l’hanno spiegata bene, dovresti evitare di capire cosa è successo nell’infanzia e invece semplicemente “stare” con quello che “emerge”.

      L’esempio delle cose che abbiamo somatizzare nella pancia di mamma è una delle spiegazioni, ma c’è anche una questione di frequenze cerebrali che cambiano con l’avanzare dell’età.

      Tu non puoi “comunicare alla pari” con un bambino, nessun adulto ne è capace, pur usando lo stesso vocabolario proprio per una questione di frequenze cerebrali.

      Ciò che viviamo, lo memorizziamo in quel momento in cui accade, con tutto quello che c’è in quel momento e resterà cristallizzato in noi esattamente come è stato in quel momento, compresi gli stati d’animo che abbiamo in quel momento ma anche CON LE FREQUENZE CEREBRALI che abbiamo in quel momento.

      Ciò che hai vissuto nell’infanzia, riemerge esattamente come l’hai vissuta in quel momento della tua infanzia, comprese le frequenze cerebrali che avevi in quel momento.

      Ora, se tu non puoi comunicare alla pari con un bambino, inteso del comunicare esattamente come loro (i bambini) comunicano tra loro, come pensi di riuscire a “comunicare” con il tuo bambino interiore?

      Quelle memorie sono frammenti di te stessa bambina che cercano risposte e molto spesso solo un contatto con un adulto che all’epoca poteva essere la mamma o il papà, oggi invece sei tu stessa.

      Molto spesso devi solo stare con te stessa senza cercare di capire nulla perché il tuo voler capire è un tentativo di aprire un dialogo con chi non può capirti e tu stessa non puoi capire (vedi per esempio se dovesse essere un ricordo del periodo prenatale).

      In fine un ultima cosa.

      Il tuo ritornare sempre nello stesso problema, a parte la probabilità che non sia stato affrontato “nel giusto modo”, può avere anche un’altra spiegazione.

      I problemi che si protraggono per lungo tempo diventano spesso (praticamente sempre o quasi) un punto di somatizzazione “preferito”, finendo per diventare la manifestazione di molti “blocchi emotivi”(o ricordi d’infanzia).

      Quando accade questo, succede che anche quando risolvi davvero un blocco emotivo, nella vita quotidiana cambia ben poco e su quel “problema” ti tocca ritornare molte volte, proprio perché ormai negli anni lì tu hai aperto inconsapevolmente una autostrada per tutte le somatizzazioni del tuo inconscio.

      Quello che devi fare è solo ritornare a dare attenzione a ciò che senti più e più volte, anche se mentalmente ti sembrerà di ritornare sempre al punto di partenza.

      Se vuoi puoi contattarmi anche tramite facebook e Messenger

Comments are closed.